THE WAITER… IL CAMERIERE – Storia di un’attesa e di un ricordo in cinque brani dei THE BLACK HEART PROCESSION

Non verremo alla meta ad uno ad uno,
ma a due a due. Se ci conosceremo
a due a due, noi ci conosceremo
tutti, noi ci ameremo tutti e i figli
un giorno rideranno
della leggenda nera dove un uomo
lacrima in solitudine.

(Paul Éluard)

Immagine presa da martinjohansson.org

Immagine ricavata da martinjohansson.org

Salve Signori,

oggi voglio presentarvi i The Black Heart Procession, un gruppo rock originario di San Diego, in California. Non voglio perdermi cercando di definirvi  il loro genere musicale, l’ascolto che vi proporrò saprà dirvi meglio di quanto possano fare le mie parole. Vi dico soltanto, per non avere delusioni quando farete partire il video con le canzoni, di dimenticare i gruppi da stadio gremito e anche la California solare e vacanziera.

I  cinque brani che ho scelto sono contenuti in quattro diversi album del gruppo, tuttavia ogni singolo pezzo è legato ad un’unica storia, ossia quella di The Waiter ( Il Cameriere) e della sua attesa.

Prima di andare avanti eccovi l’elenco delle canzoni e i rispettivi album in cui sono contenute:

– The WaiterThe Black Heart Procession, 1 (1998)

– The Waiter No. 2  e The Waiter No. 3The Black Heart Procession, 2 (1999)

– The Waiter No. 4The Black Heart Procession, Amore Del Tropico (2002)

– The Waiter No. 5The Black Heart Procession, The Spell (2006)

Prima di far partire la successione dei brani, possiamo chiudere gli occhi e immaginare di essere trasportati nei pressi di qualche sperduto luogo, ad esempio una piccola e remota città portuale in cui imperversa  un freddo inverno nordico. Poche navi approdano nel suo porto innevato e poche sono quelle che partono. Ora possiamo dirigerci lungo quello stretto sentiero che ci sembra di vedere: esso, allontanandosi dal porto, ci conduce verso una baracca dalla quale si irradia un fioco bagliore: il riflesso dei sinistri aloni di luce proiettati dal sole al tramonto o, più semplicemente,  una piccola lampada all’interno della casa stessa. Avvicinandoci ancora, sino ad arrivare alla finestra, possiamo scorgervi l’abitante della dimora: Il Cameriere. L’interno dell’abitato è povero: un piccolo tavolo con una sedia, un camino, una vecchia credenza, un giaciglio vicino al quale sta appeso un attaccapanni che serve a tenere in ordine una livrea: l’abito del Il Cameriere è vecchio ma conservato con dignità, forse in vista di un incontro. Infine, sempre accanto al letto, un comò e su di esso un carillon.

Fig. 1 – “I’ll be there yes I’ll be there/ Every night your eyes dream”

Ecco, proprio in questo momento Il Cameriere è uscito! Entriamo nella sua casa e proviamo ad aprire quel carillon. Appena abbiamo sollevato il coperchio della scatola, scorgiamo al suo interno – incastonata in uno specchio – una vecchia fotografia in bianco e nero di una donna…

… Poi l’ingranaggio del carillon inizia ad emettere qualche suono e a raccontarci con delle lente e tenebrose melodie la storia di un’attesa…

*

The Waiter

 (00:00 – 04:15)

In a cabin out where it’s cold
There’s a waiter serving time
He remembers she said
“I’ll be there yes I’ll be there
Someday when the snow  thaws”
So he stands watching the snow fall
In his hand a clock on a platter
He remembers she said
“I’ll be there yes I’ll be there
Every night your eyes dream”
“Dream dream my lonely one”

In lontananza udiamo abbaiare alcuni cani, segue una sorta di arpeggio di chitarra e carillon che continuerà sino alla fine della canzone, similmente a un ticchettìo di orologio oppure – secondo il percorso introverso della storia che sta per esserci narrata – all’ingranaggio di un cuore che, su pulsazioni fatte di attesa e memoria, sostiene l’esistenza di un uomo la cui vita, osservata esternamente, sembra ormai  solo un riflesso legato ad un sole che sta offrendo gli ultimi suoi raggi alle ombre della notte. Qualche voce umana, sempre in lontananza, dona un’ulteriore sfumatura sonora a questo paesaggio desolato… E finalmente più vicino a noi la prima declinazione della voce: un sussurro, un pensiero che sfugge e anticipa ciò che ci verrà detto nei versi successivi dalla seconda e più grave declinazione della voce.

Siamo immersi in un paesaggio invernale, in una baracca abita un cameriere o, più precisamente, è come se l’uomo fosse imprigionato in questa sua dimora.

L’uomo è schiavo di un tempo consumato nell’attesa di una donna; il ricordo lo estranea dalla sua ordinaria quotidianità  tuttavia, come vedremo soprattutto nei brani successivi, in lui è presente una coscienza lucida, uno sguardo volto a constatare la progressiva erosione della sua persona ad opera di un’attesa che forse si rivelerà vana.

A un dì sono legate le parole pronunciate da una donna e in quel tempo trova la sua genesi il sentimento di speranza connesso appunto ad un promessa: “I’ll be there yes I’ll be there/ Someday when the snow thaws”  (‘’Ci sarò, io sì che io ci sarò/ Un giorno quando la neve si sarà sciolta”). Su questa promessa si aggiunge una nuova declinazione del tono emotivo della voce: su quel ‘’… Yes i’ll be there/  Someday when the snow thaws”  una parte del cantato assume un’inflessione più disperata, più isterica, probabilmente nel tentativo di imitare la voce della donna che ha promesso. In quest’ultima attitudine vocale possiamo riscontrare uno dei sintomi della dispersione della persona del cameriere in quella dell’amata e del ricordo a lei associato. Allo stesso tempo, la commistione di toni emotivi, veicolati dalle tre modalità vocali, ci anticipa una confusione mentale che porterà Il Cameriere, forse, verso una decisione.

Mentre il brano prosegue, si distingue meglio il soffio della musical saw che si unisce all’arpeggio di chitarra e carillon.

Il Cameriere osserva la neve tenendo su un grande piatto un orologio: a cosa ‘’serve’’, per chi ‘’sarà servito’’ tutto questo tempo consumato nel ricordo? Quali saranno le conseguenze per chi, appunto come su di un vassoio,  porta tutto il peso di questo tempo? Un distillato di attimi che potrebbe non essere  consegnato a nessuno, soprattutto nell’eventualità di un non ritorno di colei cui spetterebbe interrompere questo asservimento all’attesa.

Nei successivi versi, “I’ll be there yes I’ll be there/ Every night your eyes dream”  (“Ci sarò, io sì che io ci sarò/ Sarò ogni notte il sogno nei tuoi occhi), la precedente promessa di ritornare quando la neve si sarebbe sciolta si rettifica – meglio sarebbe dire si interiorizza – in un ritorno nel sogno. Quindi con una quasi litania la canzone si chiude su quel “Dream dream my lonely one” (‘’Sogno mio unico sogno’’), verso che ripetuto due volte fa di quel dream della promessa qualcosa di fortemente interiore… La voce disperata intanto si dissolve  nelle voci lontane dell’inizio, il sinistro suono della  musical saw  sembra sostenere ed aiutare anche il dissolversi dei cigolii.

Figura 2 – “I’ll be there yes I’ll be there/ Someday when the snow thaws”

*

The Waiter No. 2

(04:18 – 08:18)

In the time of this winter the waiter had not much to say

He could hear the clock but he could not find his way

If I’m so far from your heart why do I feel it beat

And time won’t wait for us

Siamo  sempre immersi in un paesaggio invernale. All’inizio le percussioni sembrano tuoni distanti e ricolmi di neve; progressivamente si sostituisce un rumore di ‘’catene e singhiozzi’’ –  direbbe Flaubert  –  tipico di  quei paesaggi desolati in cui il vento scuote delle lamiere. Il Cameriere  è totalmente soggetto al proprio sentire interiore, non ha nulla da dire e nel silenzio, cadenzato dai ‘’battiti’’ dell’orologio, gli sembra di sentire la donna in dei rumori, in dei passi forse. Ogni vibrazione sembra voler testimoniare all’uomo la presenza della donna, quasi a volergli restituire ogni suo battito.

Prima che inizi il cantato, soffusamente si innalza un accordo tenuto d’organo che udiamo appena, quindi il pianoforte e per la prima volta la chitarra elettrica.

Dalla ritmica che assumono progressivamente le percussioni, possiamo immaginare che nell’intimo del cameriere si sia generato un impulso al moto, tale da portarlo fuori dal circondario della sua baracca. Allora, possiamo fingerci che quei cigolii di ‘’catene e singhiozzi’’ dell’inizio si siano trasformati nel rumore dei passi che conducono l’uomo verso il compimento del suo destino  – i presagi atmosferici del brano lo fanno intuire. Il pianoforte – per certi versi ulteriore calco sonoro dei  passi del cameriere – assume una ritmica più elaborata rispetto alle percussioni e su di esso continuerà a distendersi la chitarra; inoltre il suo ritmo sembra fornire un pizzico di vivacità cinetica al suono metallico delle percussioni – rimane comunque l’impressione generale di un trascinarsi. E’ sempre il pianoforte a donare al brano un’insinuante atmosfera sinistra che noteremo maggiormente in The Waither No. 4 : il  suono dello strumento sembra interferire a tratti con un’altra dimensione, creando un’attesa ansiosa che, tra gli intervalli ritmici, accoglie quei presagi provenienti dalla natura di cui avevamo intuito la presenza in qualche battuta precedente. Non meno sinistro è il vento gelido evocato dal suono della musical saw: esso sembra volersi innalzare e disperdere tutto, non senza prima averci avvisato minacciosamente della sua presenza.

Figura 3 – In the time of this winter the waiter had not much to say

Il Cameriere è in un certo senso cosciente che il tempo non aspetterà l’incontro con la donna da lui attesa; sicuramente non permarrà un tempo giovane al servizio del loro incontro. Il loro tempo sulla terra è solo un frammento – anzi due che potrebbero unirsi in uno – di quel tempo, forse eterno, che si ringiovanisce solo proiettandosi  su nuovi amanti. I frammenti di tempo donati a due creature sono una fugace elargizione da parte del tempo eterno che, indifferente al destino dei due amanti e ai suoi stessi frammenti elargiti, continuerà a scorrere a prescindere da ogni desiderio e speranza.

Anche in questo brano la narrazione è affidata alla voce nel suo doppio registro, tuttavia l’inflessione più grave ora appare più stanca, essa si intrattiene più volte sul penultimo verso,‘’If I’m so far from your heart why do I feel it beat’’,  per cercare appunto di sciogliere il dubbio su come  mai Il Cameriere, pur essendo lontano dal cuore dell’amata, ne sente il battito, senza tuttavia poterla raggiungere. La risposta non ci sarà o potrebbe essere quella dell’ultimo verso, ‘’And time won’t wait for us’’ : una constatazione, come accennavo sopra, dell’indifferenza del tempo verso il destino e i desideri del cameriere.

I rumori dissolvono il cigolio che ci ha accompagnati in quest’altro capitolo… Su di una sorta  di materializzazione sonora del tempo, che consuma le cose, si chiude anche questo secondo brano.

*

The Waiter No. 3

(08:19 – 15:29)

The Waiter No.3 è una ripresa-ripetizione di The Waiter No. 2, anche se qui alcuni cigolii – quelli che avevamo immaginato essere i passi dell’uomo sulla neve – sembrano scomparsi o, per lo meno, attutiti; continua invece il cigolio di sottofondo.

Possiamo concederci questo brano per chiudere nuovamente gli occhi e riflettere sulla condizione del Il Cameriere o, più in generale, su ciò che finora questa storia ha evocato nel nostro intimo. Una riflessione sulla distanza che fa nascere la nostalgia e che, anche per questo, ci spinge verso il voler appagare un desiderio, un sogno impossibile. Il sogno di un uomo che, non potendo ricevere amore, non sa farsene una ragione ma una tristezza.

Pensiamo a quel desiderio di amare, a quell’impulso che ci spinge all’amore e pensiamolo legato ad una persona che è distante dalla nostra vita. Un’anima alla quale il nostro cuore, ribellandosi ad ogni razionalità, vuole rimanere fedele.

Magari Il Cameriere resterà per sempre legato all’immagine della donna – forse quella della fotografia che prima avevamo scorto nel carillon: essa, impressa nella sua mente e davanti agli occhi del suo sogno, non invecchierà mai.

Il tempo andrà avanti in modo inesorabile, esso non permetterà di recuperare quel sentimento non vissuto, quell’amore allontanatosi prima di essere consumato…  Il gelo della realtà … e…

Nel mio sogno si libra il mio amore , è nel mio sogno che posso averti accanto , parlarti… ma ai miei occhi sei distante e se per farmi amare devo chiuderli vorrei allora chiuderli per sempre…(Re)

… Ma ora, mettendo fine alle nostre libere associazioni, riprendiamo ad ascoltare con più attenzione la storia che il nostro carillon, con i suoi ingranaggi in fila come una ‘’processione di cuori neri’’, vuole raccontarci sino alla fine…

*

The Waiter No. 4

(15:31- 19:16)

This is you and this is me
No one understands
What is this i’ve become
As memory fades
You left me years ago
Where the sky and the snow turn red
This is you and this is me
No one understands
This is why i’ve waited
To retrace a certain voice
Summer’s winter’s cure
Somewhere through the years
I replaced a certain pain
And summer’s winter’s cure
Yet I remain

 

Il ticchettìo si fa più nervoso, il pianoforte maggiormente nitido e con più note acute rispetto a The Waiter No. 2. Al primo strumento si unisce il lieve gioco contrappuntistico della chitarra acustica. Il violino invece esegue dei glissati stonati come fossero coltellate di lamenti. Sembra di udire a un certo punto  delle foglie spazzate via, tuttavia potrebbe trattarsi anche della risacca.

Il Cameriere si ripiega sempre di più su se stesso, riflettendo sulle conseguenze della sua attesa. Qualcosa di pungente si fa sentire nella sua testa, i ticchettìi risuonano come tarli vivi nella mente. L’uomo è cosciente della sua condizione esistenziale ma, allo stesso tempo, sa che nessuno potrebbe definire il suo sentire interiore. ‘’This is you and this is me/ No one understands’’ sono i primi versi pronunciati dalla voce che continuerà nella sua doppia declinazione, avendo acquistato in entrambi i registri una maggiore fermezza.

Il Cameriere sembra aver confuso la sua essenza con quella della donna, nonostante – non sappiamo per quali motivi – lei ancora non sia tornata a sancire l’unione d’amore tanto attesa dall’uomo. Egli, nel suo attendere, l’ha quasi incorporata in se stesso, facendo prendere al suo essere  un’indefinitezza simile al ricordo. Il Cameriere, eccetto che per prendere coscienza della sofferenza dell’abbandono, è stato continuamente sradicato ed alienato dal presente. Una corrente di associazioni mentali, raccolte tra i rimasugli della sua vita solitaria, lo ha riportato costantemente all’atmosfera dell’abbandono: forse un tramonto intarsiato di un calore piacevole, come quello emanato dalla vicinanza della donna nel giorno della sua partenza; sullo sfondo linee di terra rivestite di neve che, accendendosi sotto gli ultimi raggi del crepuscolo, sembrano confondere cielo e terra in un solo colore. Argini luminosi  che stringono  con le loro insenature la distesa azzurra  nei pressi di un porto, come a voler accogliere  in un abbraccio il ritorno delle  navi; frangenti luminescenti che delicatamente si dissolvono, come se volessero seguire sino all’ultimo orizzonte le schiumose chiome, allorché il mare,  distendendosi al largo, porta di nuovo lontano le navi. Ecco, potrebbe essere quello che mi sono appena immaginato lo scenario dell’abbandono; infatti Il Cameriere ricorda di essere stato lasciato solo anni fa, in un imprecisato luogo dove il cielo e la neve diventano rossi (‘’You left me years ago/ Where the sky and the snow turn red’’). Allora immaginiamoci l’uomo e la donna, al tramonto, proprio nei pressi degli argini luminosi ricoperti di quella neve che di li a poco, facendosi sera e poi notte, sarebbe diventata più gelida, di conseguenza più lungo il tempo del suo sciogliersi rispetto a quanto aveva fatto sperare il tepore del tramonto.

Il violino, a cui è  affidato il pianto, sembra voler seguire in un guizzo lamentevole – lo si nota particolarmente sugli ultimi versi citati – ciò che inesorabilmente è destinato a sfumare e a consumarsi insieme all’uomo che detiene la memoria. Infatti, dalla memoria e dall’immaginazione del cameriere, abbandonato nel corso delle stagioni a se stesso, sono sorte quelle ombre che, come larve di luce, hanno teso alla vita e all’amore; tutto ciò inutilmente, visto che ogni speranza sembra essere stata  ripiegata dalla bufera in quel grembo di tenebre che è la solitudine.

Figura 4 – ‘’You left me years ago/ Where the sky and the snow turn red’’

Figura 4 – ‘’You left me years ago/ Where the sky and the snow turn red’’

Il Cameriere si chiede a cosa sia servita la sua attesa. Negli anni ha ripercorso nella sua mente il suono di una ‘’certa voce’’; probabilmente durante questa lungo attendere si è ridetto la promessa della donna (“I’ll be there yes I’ll be there/ Someday when the snow  thaws”). La sua è stata come una cura di inutile speranza…Dei tramonti successivi di una speme coltivata nel trascorrere delle stagioni. E’ stato un lento perdersi: ogni speranza, vanificata nel succedersi degli anni, si è trasformata in una particolare forma di dolore, portando alla frantumazione delle diverse possibilità di vivere. Il Cameriere, probabilmente, per anni si è immaginato di fare delle cose, ha accennato a fare delle cose, tuttavia ha concepito la piena realizzazione del suo vivere solo insieme all’amata. Egli ha rinunciato ad ogni sua esperienza, rimandato ogni sapore, trattenuto ogni suo pieno sentire nell’attesa di poterlo condividere con la donna. Ormai – con lei o senza di lei –  non gli rimane che rimanere: ‘’Somewhere through the years/ I replaced a certain pain and summer’s winter’s cure/ Yet I remain’’.

Il tickettio si impone su tutto e  la canzone si chiude con l’effetto di un nastro che si riavvolge su se stesso.

*

The Waiter No. 5

(19:17- 23:21)

I have waited all these years here in the snow
I have waited for a spring that never came
I feel the wind blow cold in my bones
I was burried here out in the snow
I have waited for a spring that never came
Remember I try to remember
I have waited all these years beneath the snow
Now i finally know it was you who burried me
I have waited for a spring that never came
You won’t be coming back this is my home
This my grave

Siamo all’epilogo. Un soffio di bufera risonante come da uno spazio cosmico, delle percussioni funeree e un pianoforte gocciolante aprono il brano. Si aggiunge la chitarra elettrica quasi a voler sottolineare quest’atmosfera solennemente mesta. Nel prosieguo della canzone il pianoforte si fa più struggente: ormai il suo compito non è più quello di captare una presenza, bensì quello di scolpire una definitiva assenza.

Il Cameriere si è reso conto di avere atteso molti anni nella neve, senza aver visto schiudersi la primavera. La voce nel constatare la sua condizione si fa più risoluta; allo stesso tempo si ha l’impressione che dall’oltretomba del ricordo, su di un lieve effetto d’eco, tutte le voci che hanno scandito la solitudine dell’uomo, si siano incamminate per raggiungere per l’ultima volta, forse, Il Cameriere e accompagnarlo come in un corteo negli ultimi suoi passi.

Il Cameriere sente nelle ossa il freddo dei luoghi – sempre gli stessi e ricoperti di neve – che ha abitato. La consapevolezza della sua vana attesa si fa sempre più accentuata. Anni trascorsi a ritorcere il tempo presente nella direzione del ricordo. Ed anche adesso Il Cameriere ricorda… Cerca di ricordare. Probabilmente l’uomo ha anche cercato di stancarsi del ricordo; egli ha tentato di frantumare la propria memoria sezionandola nelle sue molteplici sfumature, sebbene essa abbia avuto un unico punto di confluenza e di irradiazione: l’amata e la sua promessa. Tuttavia, l’uomo si rende conto di essere stato lui, non il ricordo, ad essere sepolto da colei che sarebbe dovuta arrivare insieme alla primavera. Su quel ‘’Remember I try to remember’’  il violino, somigliante nel timbro ad un oboe, trasforma in melodia il giro ritmico su cui si è sostenuto lo struggimento del pianoforte e la canzone tutta.

Non sappiamo in realtà se Il Cameriere sia riuscito a muovere molti passi; forse, dopo un breve tragitto, egli è caduto su quella neve che non si è sciolta, così come lui non è riuscito a sciogliersi dalla promessa dell’amata.

Il Cameriere immagina di rivolgersi ancora una volta alla donna alla donna – ma forse anche alla primavera – per comunicarle che ormai lui non attenderà più il suo ritorno:  ‘’I have waited for a spring that never came/ You won’t be coming back this is my home this/ This my grave’’ (‘’Ho atteso una primavera che non è mai arrivata/ Non ritornerai, questa è la mia casa/ Questa è la mia tomba).

Fig. 5 – ‘’I have waited for a spring that never come/ You won’t be coming back this is my home/ This my grave’’

Continua a soffiare il vento… Sul finire del brano, è forse un respiro quello che si confonde con la tempesta: un ultimo soffio di vita a cui si aggrappa l’anima, un sospiro  che cerca di riassorbire le lacrime prima che esse si congelino e non scendano più. Udiamo anche un lieve gracchiare già avvertito in precedenza: potrebbero essere le mani del cameriere che accarezzano la neve oppure, come in una eco, il rumore dei suoi passi ancora risuonanti dall’altro brano. In quest’ultimo gracchiare potremmo avvertire, allo stesso tempo, l’agonia del ticchettìo di quel orologio portato su di un piatto: anch’esso ora incepperà nella neve fino a pietrificarsi insieme al battito di un cuore.

Fine

Renzo Demasi

Elenco Immagini:
Fig. 1 – Copertina dell’album I dei The Black Heart Procession
Fig. 2 -Caspar David Friedrick, Paesaggio Invernale, immagine ricavata da settemuse.it
Fig. 3 – Alfred Sisley, Mooring Lines The Effect of Snow at Saint Cloud
Fig. 4 – Caspar David Friedrick, Kunstenlandschaft im Abendlicht, immagine ricavata da arteposter.it
Fig. 5 – Caspar David Friedrich, Cimitero dell’abbazia sotto la neve, immagine ricavata da http://montaigne.altervista.org/wp-content/uploads/2015/05/Friedrich-Cimitero-dellabbazia-sotto-la-neve.jpg

44 thoughts on “THE WAITER… IL CAMERIERE – Storia di un’attesa e di un ricordo in cinque brani dei THE BLACK HEART PROCESSION

  1. caspiterina Renzo! complimenti, non hai tralasciato proprio nulla (nemmeno il suono del violino simile all’oboe). un’intersecarsi d’arte. non conoscevo questo gruppo, nè la struggente storia nei cinque brani, solo i bellissimi versi di Eluard ( del quale mi piace anche questa “Tutto è dir tutto e le parole mancano
    e il tempo manca e mi manca l’audacia
    sogno e spartisco a caso le mie immagini
    ho mal vissuto e mal appreso a parlar chiaro. …”
    ciao, buon we
    Ludmilla

    • Grazie Ludmilla! Hai avuto la pazienza di leggermi fino al violino che fa il verso all’oboe :-). Effettivamente avevo qualche dubbio su come definire quel particolare ”momento” della canzone. D’altronde ho fatto di tutto il brano un’interpretazione – sia a livello musicale, sia a livello del significato testuale – che io stesso varierei ad ogni ascolto.
      Mi piace anche la poesia che hai citato: anch’essa sembra richiamare la storia del Il Cameriere.
      Ho conosciuto da poco Eluard, a dire la verità me l’ha fatto conoscere Julie che sul suo blog posta belle fotografie dalla Bretagna.
      Comunque occhio ai B. H. P anche perché ho visto che anche tu sul tuo blog posti qualche gruppo rock 🙂

  2. Eccomi! Inizio con il dire che ci hai lavorato di fino su questo insieme di musica, parole, immagini.
    Non conoscevo il gruppo, trovo la loro musica velata di una forte malinconia, ma molto intensa e mi ha affascinata ascoltarla. E che dire della poesia di Paul Éluard? Non sempre questo poeta si può interpretare con facilità, ma la poesia postata inizialmente nasconde la grande verità dell’uomo: “..la leggenda nera dove un uomo/lacrima in solitudine…”. E ancora, il racconto:Il Cameriere, era lì, ad aspettarmi, per farmi ascoltare il rumore assordante del silenzio di una vita che passa e non torna più…Ho ascoltato il vento che l’ha portata via.
    Complimenti, mi hai emozionato.

    • Fulvia, prima di tutto ti ringrazio per la pazienza e per l’attenzione che hai prestato nel leggere quanto ho scritto. I The B.H. P , almeno secondo il mio gusto, sono un gruppo parecchio raffinato e richiedono una particolare attitudine dell’animo, oltre che una particolare sensibilità, per essere compresi ed apprezzati.
      Riguardo alle cinque canzoni ne ho fatto un’interpretazione con la quale ho spinto anche Il Cameriere ad uscire dalla propria baracca. Tuttavia, mi rendo conto che effettivamente la situazione dell’uomo si sarebbe potuta descrivere anche – e forse sarebbe stato meglio così – solo all’interno delle quattro pareti della sua povera dimora: una sorta di attesa malinconica (come dici tu stessa) che si fa crisi, riflessione sul tempo per poi, alla fine, farsi totale raccoglimento nella propria interiorità. Insomma nel vissuto del Il Cameriere vi trovo dei tratti romantici.
      Riguardo alla poesia di Paul Éluard, se ti interessa, posso dirti che in un libro di fotografia l’ho trovata associata alla foto che ti linko sotto (la prendo gentilmente in prestito da un altro blog):
      http://www.controappuntoblog.org/wp-content/uploads/2014/03/piazza-san-marco-venezia-1959orig_main1.jpg

      • Sono convinta che la descrizione che hai fatta sia perfetta, ci da modo di riflettere anche di più. Anche io vi trovo tratti romantici, anzi c’è molto di questo sentimento. grazie per il link vado a curiosare subito.

      • Scusa, non ero più passata…Grazie per il commento alla frase.
        Se passi da me, c’è una nomination per te.
        Un abbraccio.

      • Di solito tendo a sottolineare le cose che mi colpiscono 🙂 – in questo caso la tua frase 🙂

        Non so cosa siano le nomination… Comunque grazie :-), sei molto gentile !

        Un Miao e un Bau 🙂
        Renzo

        P.S.: prima sono passato dal tuo sito e ho letto una tua recensione

      • Ciao Fulvia!! 🙂 Effettivamente non mi sto collegando da un po’.
        Mi ero segnato già ”Camille Claudel” 1915” ed ora il tuo commento al film, insieme alla scheda sull’artista alla quale la pellicola è ispirata, mi invoglia ancora di più alla visione.
        Dalle caratteristiche che attribuisci al film, mi pare si tratti di una di quelle opere capaci di creare nello spettatore delle ”crepe emotive”. Per il momento mi sono preso una pausa dai film :-), comunque non sarebbe male riprendere da questa pellicola, quindi grazie Fulvia…

        P.S. : ottima la scelta dei fotogrammi della Binoche, specie il secondo che hai incollato.

  3. “Un’anima alla quale il nostro cuore, ribellandosi ad ogni razionalità, vuole rimanere fedele.”
    Quanto sento dentro di me questa frase; quasi lacera la carne e lo stesso cuore.

    Bel viaggio Renzo, ma ho paura
    che quel camerirere possa esser io…

    • Ciao Eduard,
      in questo periodo mi ritrovo spesso tra le mani qualche libro di Kerouac…. E guarda caso proprio ieri ho ripreso qualche pagina di Angeli di desolazione ( sulla copertina avevo segnata la data di maggio 2010). Ti scrivo due citazioni tratte da quel libro ( le lineette messe in quel modo non sono un errore, fanno parte di un certo stile di K.):

      Possano gli angeli dei non nati e gli angeli dei morti vegliare su di te come una nuvola e spargere offerte di eterni fiori dorati- Ciò che passa attraverso tutto è passato attraverso di me e sempre attraverso la mia matita e non c’è nulla da dire-

      Lontano lontano alle porte del mondo c’era il vortice di vento che ammoniva come noi tutti saremo spazzati via come trucioli e piangeremo- Uomini dagli occhi stanchi ora lo capiscono, e attendono di deturparsi e putrefarsi-nonostante questo essi conservano egualmente nel cuore il potere d’amare, non so più cosa significhi quella parola- L’unica cosa che voglio è un cono gelato

      • Eduard,
        il tuo ”Cuore di Cartone” credo che una vaschetta di gelato per tre folli la possa contenere! Infatti sotto c’è anche Luca… Anzi vediamo di poterne far entrare anche di più, magari potrebbe passare da queste parti mio fratello Danilo con il suo fuoco nichilista… E allora tutte quegli aromi del gelato subirebbero una mutazione psichedelica:

        P.S. : come vedi gli ingredienti per uno dei nostri deliri non mancano 🙂

      • Ehi Signor Eduard – il signor è giusto per non dimenticare l’appellativo che dovevo darti per farti riprendere dai magoni che sornionamente attribuivi all’amore ma che erano dovuti alle ”vigne di Francia” 🙂 – ora si mette a fare il salutista rifiutando robe troppo sintetiche (ma buone)… Mah mi faccia il piacere! :-).
        Lo so che vorrebbe che gli proponessi i Mumford & Sons, ma preferisco spedirla in Canada. Deve sapere che quelle zone sono ricolme di una natura rigogliosa che favorisce la sua attitudine folk… Ma ci sono anche delle enormi cascate che trasformano ”naturalmente” in elettricità, in elettronica quanto germoglia dalla selvaggia terra. Comunque non si preoccupi! Nonostante le scintille elettriche rimane quel gusto di ”ruvido-buon tenebroso-selvaggio romantico”…
        Per non destarla troppo dalla sua sonnolenza hippy Le propongo due canzoni tra le più orecchiabili (per questa volta) appartenenti a due diversi progetti di una sorta di Don Chisciotte canadese.

        – La prima:

        So Peter loves a girl
        The way that only Peter does
        He told me all about it on the balcony
        When we were high on drugs


        She’s the one
        The one that he thinks of when he thinks of love

        – La seconda:
        The buffalo have given up on the world
        And Apollo? Apollo is kissing all the valley girls
        We climbed up the cross on the mountain on New Year’s Eve
        It was just god, the blizzard, the dream-weaver and me


        Anna, Anna, Anna, oh!, why’d you change your name?

      • Vede che mi conosce?

        Peter ama una ragazza, sì
        io so tutto di lui, l’ama davvero;
        ma sfugge, si nasconde.
        Lui è incapace di vederla
        quando ha gli occhi sporchi.
        Ma quando la vede si laveranno
        dalla bruttezza
        e allora sì che brilleranno ancora.

        Io mi siedo qui in attesa
        osservo questa scena
        nella melodia delle foglie scuotersi
        sull’acqua austera che tiene, gelosa,
        la traccia del vento.
        Aspetto,
        Aspetto ancora il mio cono gelato 😛

    • Eduard rispondo qui al tuo ultimo commento visto che sotto non mi compare più ”rispondi”.

      Bella la tua interpretazione, sempre al passo con il tuo animo poetico… Ma attenzione anche sornione:-) ! Quindi ti dico che in certi casi per il gelato, anzi per la dama dei gelati – visto che il gelato sicuramente sta per una più o meno granitica femme – richiede uno slancio della lingua più che l’agonia di un’attesa 🙂

  4. Ciao Renzo, passo da queste parti per esprimere i miei più sinceri complimenti per questa che più che una recensione definirei una vera e propria esperienza.
    Riuscire a fare una psicanalisi così approfondita e dettagliata non è cosa da tutti i giorni, e soprattutto non da tutti.
    Spaventosamente e cinicamente emozionante

    • Luca sono veramente contento di leggerti! Magari con il tempo ci potremo dedicare anche a uno di quei sogni più pop, anzi Dream Pop :-). Intanto visto che ”altrove” mi hai ricordato questo genere musicale ne ho approfittato per rispolverare gli album dei Willd Nothing: ricordo di averli scoperti per caso con quel magnifico cortemetraggio francese su cui è montata Chinatown

      P.S. : in futuro per esempio mi piacerebbe parlare di questo video e mostrartene anche uno dei The Twilight sad

      • In questo periodo sto ascoltando i Wild Nothing in quantità industriali, sia i due album “Gemini” e “Nocturne” sia i due EP “Golden Haze” e “Empty Estate” contengono perle eccezionali tra cui il brano che hai citato (la mia preferita resta Rheya).
        Quando vorrai approfondire i The Twilight Sad sarò felice di ascoltare 🙂 (e menzione d’onore per i Cut Copy di Corner Of The Sky/Sun God che tu hai prontamente citato poco sopra)

  5. p.s. scusa il doppio messaggio… noto adesso che una canzone di un altro gruppo tra i nostri protetti ci sarebbe stato bene in questa tua esposizione sui brani dei The Black Hearts Procession.

    I realize I fell in love with the voice
    I call her again and again
    but all I heard was the echo in the light….

    • Luca anche Paradise che si stacca – come qualche altro brano nella discografia del gruppo – dalla continuità dell’album mi è piaciuta.

      Gentilmente mi ricordi a quale canzone appartengono i versi chi mi hai citato – l’inglese ancora un po’ mi frega 😦

  6. Caspita! Ti giuro che l’altra sera a casa mi stavo copia – incollando i titoli delle canzoni per cercarmi poi i testi dell’intero album fuori, visto che in questo periodo nell’appartamento in cui vivo la linea non va bene!

  7. What an stunning pos Renzo.. I have never heard about The Black Heart Procession so I wanted to thank you for the excellent introduction. ⭐ I will now listen to the song you added over here!
    Sending you all my best wishes!. Aquileana 😀

  8. Che dire? Ottima sintesi esegetica della musica e dei testi di “The waither”. Poi, la costruzione in crescendo di una narrazione che si fa attesa, piacere, speranza, mesto-magnifico epilogo. I Bhp (già dai tempi di “Three mile pilot”) sono tra i miei musicisti preferiti. I primi tre album li considero imprescindibili; gli altri, un po’ meno. Grande band comunque!

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